Copyright

LA  STORIA

Il copyright (termine di lingua inglese che letteralmente significa diritto di copia) è l’equivalente del diritto d’autore nei paesi del common law, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dal quale però differisce sotto vari aspetti.

Le prime norme sul diritto di copia (copyright), furono emanate dalla monarchia inglese nel XVI secolo con la volontà di operare un controllo sulle opere pubblicate nel territorio. Col diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, infatti, iniziò ad affermarsi una libera circolazione fra la popolazione di scritti e volumi di ogni argomento e genere. Il governo, poichè la censura era all’epoca una funzione amministrativa legittima come la gestione della sicurezza pubblica, avvertì il bisogno di controllare ed autorizzare la libera circolazione delle opinioni. Ragion per cui, fondò una cooperazione privata di censori, la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra), i cui profitti sarebbero dipesi da quanto fosse stato efficente il loro lavoro di censura filo-governativa.

Agli Stationers (ovvero agli Editori), furono concessi i diritti di copia (copyright appunto) su ogni stampa, con valenza retroattiva anche per le opere pubblicate precedentemente. La concessione, prevedeva il diritto esclusivo di stampa e quello di poter ricercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati, finanche di bruciare quelli stampati illegalmente. Ogni opera, per essere stampata, doveva essere registrata nel Registro della corporazione, registrazione che era effettuabile solamente dopo un attento vaglio ad opera del censore della corona o dopo la censura degli stessi editori. La corporazione degli editori esercitava perciò a tutti gli effetti, funzione di polizia privata, dedica al profitto e controllata da parte del governo.

Ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione, il quale ne acquisiva il “copyright”, ovvero il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla; una corte risolveva le eventuali dispute i fra membri. Il diritto sulle copie (copyright), perciò, nasce come diritto specifico dell’editore, diritto sul quale il reale autore non può quindi recriminare alcunchè nè guadagnare di conseguenza.

Nel successivo secolo e mezzo, la corporazione dei censori inglesi generò benefici per il governo e per gli editori: per il governo, esercitando un potere di controllo sulla libera diffusione delle opinioni e delle informazioni; per gli editori, traendo profitto dal prorpio monopolio di vendita. Sul finire del XVII secolo, però, l’ipotesi di idee liberali nella società frenò le tradizioni politiche censorie e causò una graduale fine del monopolio delle caste editrici.

Temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte degli stampatori indipendenti ed autori, gli editori fecero valere la propria moral suasion sul Parlamento. basandosi sull’assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere (attività all’epoca assai costosa e quindi riservata a pochi), mantennero tutti i privilegi acquisiti in passato con un’astuzia: attribuire ai veri autori i diritti di prorpietà sulle opere prodotte, ma con la clausola che questa proprietà potesse essere trasferita ad altri tramite contratto. Di lì in poi gli editori non avrebbero più generato profitto dalla censura sulle opere, ma semplicemente dal trasferimento dei diritti firmato (più o meno volontariamente) dagli autori, trasferimento in ogni caso necessario per la altrimenti troppo costosa pubblicazione delle opere.

Su queste basi, nel 1710, venne perciò emanata la prima norma moderna sul copyright: lo Statuto di Anna (Statute of Anna).

A partire dallo Statuto di Anna, gli autori, che fino ad allora non avevano detenuto alcun diritto di proprietà, ottennero in sostanza il (tutto sommato vacuo) potere di bloccare la diffusione delle proprie opere, mentre la corporazione degli editori incrementò i profitti grazie alla cessione, sostanzialmente obbligatoria per ottenere stampa e distribuzione, da parte degli autori dei vari diritti sulle opere.

Il rafforzamento successivo dei diritti d’autore su pressione delle corporazioni, generò gradualmente il declino di altre forme di sostentamento per gli autori (come il patronato, la sovvenzione, ecc.), legando e sottoponendo indissolubilmente il sostentamento dell’autore al profitto dell’editore.

Nel corso dei successivi due secoli anche la Francia, la Repubblica Cisalpina, il Regno d’Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d’Europa, emanarono legislazioni per l’istituzione del copyright.

Nel 1836, il codice civile albertino per la Sardegna

Nel 1840, il 22 dicembre, il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla.

Nel 1865, il 25 giugno, nel Regno d’Italia, con la legge 2337.

Talune con ispirazioni maggiormente illuministe e democratiche rispetto a quella anglosassone, pur tuttavia con la medesima radice.

Nel 1886, il 9 settembre, fu costituita l’Unione internazionale di Berna, per coordinare i rapporti in questo campo, di tutti i paesi iscritti, ancora oggi operante.

 

LE FOTOCOPIE

Una scommessa di civiltà

La nuova legge italiana sulle fotocopie è chiara.

E’ possibile fotocopiare una parte di un libro (fino al 15%) pagando, tramite la S.I.A.E., all’autore e all’editore, un prezzo proporzionato alla parte riprodotta. In questo modo, chi ha bisogno di leggere alcuni capitoli può evitare di acquistare l’opera intera.

Ma la fotocopia di tutto o di gran parte di un libro è illecita: induce al mancato acquisto, rendendo così vano il lavoro di chi il libro lo ha scritto, redatto, composto, impaginato e illustrato.

La legge si propone lo scopo di tenere vivo l’interesse a scrivere libri. Se questo interesse venisse a mancare, ben pochi libri nuovi sarebbero pubblicati: saremmo tutti costretti a leggere fotocopie, ormai illeggibili, di vecchi libri e non aggiornati.

Fotocopiare tutto un libro, è un po’ come lasciare un’auto in seconda file: i più non lo fanno, non solo per paura della multa, ma soprattutto perchè si rendono conto che, se tutti si comportassero così, ne deriverebbe un danno generale. Sta quindi ai lettori far sì che la legge funzioni e produca effetti positivi. E’ una scommessa di civiltà: se la si vince, il premio non andrà solo ad autori ed editori, ma a tutto il sistema culturale e scientifico italiano.

Il punto sulla norma

1) Il nuovo regime delle fotocopie (art.68. co.3,4,5 Legge diritto d’autore, introdotti dall’art.2.2 L.248/2000 e successive modificati dal d.lg. 68/2003), è efficace per quanto riguarda le fotocopie presso centri-copia.per le Biblioteche, cfr. n. 3.4.

2) E’ stato raggiunto un primo accordo, il 18 dicembre 2000, fra S.I.A.E., A.I.E., S.N.S. da una parte e, dall’altra, C.N.A., Confartigianato, C.A.S.A. e Confcommercio, aggiornato nel novembre 2005 (alla firma del quale si sono aggiunti S.L.S.I., U.I.L.-U.N.S.A., C.L.A.A.I. e LegaCOOP), per la riproduzione a pagamento ad uso personale, di libri fino ad un massimo del 15% nell’ambito dell’art. 69, co. 4 legge cit.C.N.A., Confartigianato e C.A.S.A, sono le associazioni più rappresentative delle copisterie.

Per le opere escluse, tale genere di fotocopia non sarà consentito.

3) Pertanto il regime delle fotocopie, ad oggi, è il seguente:

3.1) Nelle copisterie aderenti a C.N.A., Confartigianato, C.A.S.A. o Confcommercio si possono fare, senza preventivo consenso dell’editore, fotocopie ad uso personale, a pagamento, sulla base dell’accordo citato, da attuazione dell’art. 68 co. 4 legge cit.

3.2) Chi vuole fare fotocopie per uso diverso da quello personale (per esempio per dotare della fotocopia di un capitolo di un libro tutti i partecipanti ad un corso) può chiedere l’autorizzazione all’AIDRO. Il numero di pagine non può essere superiore al 15% delle pagine del volume.

Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a:

Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO) Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano Sito www.aidro.org E-mail segreteria@aidro.org

Le fotocopie possono essere effettuate su qualsiasi fotocopiatrice a disposizione del richiedente.

3.3) La violazione della norma comporta sanzione penale (art. 171 ter 1. citata) e amministrativa (art. 171, 174 bis e 174 ter).

3.4)

a)La legge prevede, per le opere esistenti nelle biblioteche pubbliche, la possibilità di riproduzione ad uso personale, sempre entro il limite del 15% di ciascuna opera.

b) Soltanto per le opere rare e fuori dai cataloghi degli editori e per questi motivi, di difficile reperibilità sul mercato, non opera il limite del 15%.

c) Per queste fotocopie, è previsto un compenso forfettario, determinato con accordi fre S.I.A.E. e le categorie interessate.

d) L’accordo più rilevante, è quello stipulato dalla S.I.A.E., con, da una parte, AIE (Associazione Italiana Editori) e sindacati scrittori (S.N.S. e U.N.S.) e, dall’altra C.R.U.I. (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane).

e) In base a tale accordo, che deve essere ratificato dalle singole Università, la S.I.A.E. riceve un compenso annuo per ogni studente iscritto.

f) I bibliotecari, sono obbligati ad informare gli utilizzatori dell’esistenza del liminte del 15%

g) Sono stati stipulati accordi analoghi con altre organizzazioni di biblioteche (non ancora con le biblioteche dipendenti dagli Enti Locali).

h) Nelle biblioteche che non hanno stipulato accordi, chi fotocopia è comunque tenuto all’osservanza degli art. 68 co. 2, 3, 5 e 6. In tali biblioteche, quindi, non si possono far fare fotocopie che, per loro natura ed entità, si pongano in concorrenza con la diffusione del libro fotocopiato.

i) La violazione delle norme comporta responsabilità civile e, quantomeno, la sanzione amministrativa di cui all’art. 171 co. 3 legge cit., introdotto dall’art. 2.41. 248/2000.